Ficool

Ne voglio ancora

Patrizia_Del_Pidio
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Chapter 1 - Contratto bianco

itolo 1: Il Contratto Bianco

Beatrice si girò lentamente, l'abito da sposa un bozzolo di seta e tulle che non le

apparteneva. Le mani della sarta erano state leste e professionali, i commenti della madre,

ora fuori dalla suite, a dirigere la sinfonia del caos pre-matrimoniale, superflui e carichi di

un'eccessiva, innaturale gioia. Aveva appena compiuto diciotto anni e tre mesi, un'età che

per le sue coetanee significava patenti, università, feste sulla spiaggia. Per lei, significava la

fine di ogni possibile primavera. Significava Mark.

Lo specchio a figura intera le restituiva l'immagine di una statua. Era bella, lo sapeva. I

capelli castani sciolti in onde morbide, la pelle di porcellana che il trucco leggero esaltava.

Era il suo ultimo giorno da Bea, la studentessa, la sognatrice di vite semplici. Domani

sarebbe stata Beatrice Rossi-Markwell, un nome che suonava come un'ipoteca sul futuro.

Si avvicinò alla finestra della suite panoramica che affacciava sul lago di Como, luogo scelto

dal futuro marito per la sua indubbia eleganza. Era una cornice da favola, ma Bea sentiva

solo la griglia dorata della sua prigione. No, si corresse mentalmente. Non era una

prigioniera. Era un investimento.

Tre mesi prima l'odore di cuoio e sigari nel vasto studio del padre «Beatrice, siediti.

Dobbiamo parlare di cose serie.» La voce di suo padre, l'industriale Alessandro Rossi, era

sempre stata un ordine, mai una richiesta. Bea, fresca di diploma e con la testa piena di

messaggi scambiati con le amiche, si era seduta con il sospetto che si trattasse di un'estate

in qualche noiosa clinica per imparare il galateo. «Il Gruppo Markwell sta per fondersi con il

nostro. Un colosso che eliminerà ogni concorrenza. Markwell è un genio, un vero visionario.

E vuole...» Suo padre si era sistemato gli occhiali, la voce improvvisamente più sommessa.

«Vuole un legame di sangue, un vincolo che cementi questa operazione per sempre.» «Un

vincolo? Vuole che diventi la sua segretaria personale?» aveva scherzato Bea. Suo padre

l'aveva guardata con una serietà che le aveva gelato il sangue. «Vuole sposarti, Beatrice. La

tua dote è la fusione patrimoniale e lui non vuole solo il capitale. Vuole l'immagine di una

famiglia unita. Vuole una moglie giovane e irreprensibile, e tu sei perfetta. Non avrai

restrizioni, Bea. Potrai fare quello che vuoi, andare dove vuoi, vivere nel lusso. Non sarai

una prigioniera, ma la Signora Markwell.» «Ma io... io amo Paul!» aveva mormorato, la voce

spezzata. «Paul è un cameriere nel ristorante di terza categoria di sua madre, Beatrice. Non

è una vita. Questo è il dovere. Farai quello che devi per la famiglia.» Il tono di suo padre non

ammetteva repliche. Era una sentenza. L'aveva liquidata con una carezza sulla testa, come

si fa con un cane ben addestrato.

Una mano le toccò la spalla facendola tornare al presente. Era sua zia, con gli occhi lucidi e

la bocca tremante per l'emozione. «Sei bellissima, tesoro. Sarai la sposa più invidiata

d'Italia. Mark è un uomo d'oro.» D'oro e di ventidue anni più vecchio, pensò Bea con un

groppo in gola. Un sarcofago di lusso.

Mentre si avviava verso l'uscita della suite, il suo cuore batteva un ritmo frenetico, misto a

panico e a una strana, quasi masochistica curiosità. Sapeva tutto di Mark Markwell: l'impero

finanziario, gli investimenti geniali, l'assenza di scandali, l'eleganza sobria. Ma non aveva

mai, mai incrociato il suo sguardo.

L'auto la portò lungo il viale decorato con migliaia di rose bianche. La villa, storica e

imponente, era stata trasformata per l'evento. Era un luogo di bellezza mozzafiato, ma per

Bea era il patibolo.

L'attimo prima di varcare la soglia, suo padre le sussurrò all'orecchio: «Ricorda, Beatrice. La

nostra intera vita è legata a questo momento. Sorridi.»

Lei sorrise. Era un sorriso che non le apparteneva.

Quando entrò, accompagnata da una musica solenne che rimbombava nel salone

affrescato, tutti gli sguardi si posarono su di lei. Ma il suo cercò solo l'uomo in piedi davanti

all'officiante civile, l'uomo che era diventato il suo destino.

Mark Markwell era un'opera d'arte. Non un uomo. Era alto, slanciato, e il completo blu notte

era tagliato con una precisione scultorea. I suoi capelli erano di un biondo scuro

impeccabile, gli zigomi affilati. Ma erano gli occhi a colpirla. Erano grigi come l'acciaio,

profondi e penetranti, e la fissavano senza ombra di emozione. Non c'era amore, non c'era

gioia, solo un'attenta, fredda valutazione. Era innegabilmente bello, di una bellezza che

urlava potere e inaccessibilità, e quel contrasto con la sua repulsione per la situazione la

fece vacillare. Era il diavolo in una veste sartoriale perfetta.

Mentre si avvicinava, la folla svanì. Riusciva a sentire il fruscio della seta sul pavimento di

marmo e il battito martellante nelle sue tempie. Arrivata a destinazione, suo padre le prese

la mano, un gesto di possesso prima che di affetto, e la passò a Mark.

L'impatto fu scioccante. La mano di Mark era calda, solida e non esitante. Non un brivido. La

strinse con una presa formale, quasi professionale, come si stringe la mano a un socio in

affari. Era la stretta di un contratto, non di un futuro marito. Mark non le sorrise. Le fece un

impercettibile cenno del capo, un muto «Siamo qui» senza alcuna affabilità.

«Benvenuta, Beatrice,» sussurrò Mark. La sua voce era bassa, profonda e aveva una

risonanza che non ammetteva repliche. Per un istante fugace, mentre incrociava quegli

occhi di ghiaccio, Bea si chiese se dietro quella maschera di perfezione si nascondesse un

uomo. E si chiese quanto tempo le ci sarebbe voluto per scoprirlo, se mai ci sarebbe

riuscita.

La cerimonia iniziò. Il destino di Beatrice era sigillato, non dal sentimento, ma dal suono

metallico e finale di un cognome scambiato