Ficool

Chapter 3 - Il prezzo della seta

Il banchetto si teneva in un salone adiacente alla villa, un'esplosione di cristalli, porcellane finissime e orchidee bianche. Per Bea, era meno un ricevimento nuziale e più una conferenza stampa mascherata da festa. I tavoli rotondi ospitavano i nomi più influenti della finanza e dell'industria, tutti lì per celebrare non l'unione di due cuori, ma l'unione di due imperi.

Bea si sedette al tavolo d'onore accanto a Mark. Lui era il perfetto padrone di casa: sorrisi misurati, strette di mano ferme, e un costante flusso di conversazioni che, per quanto banali in superficie, ruotavano inevitabilmente intorno ai tassi di interesse, alle acquisizioni e, soprattutto, alla Fusione Markwell-Rossi.

«Un'alleanza che cambierà il panorama del settore, Mark. E la vostra sposa, una vera risorsa, un gioiello per completare il quadro.»

Bea sentiva la frase come un martello che le batteva sulla testa. Risorsa, gioiello, quadro. Era un ornamento, un sigillo apposto sul contratto. Nonostante l'abito da sposa fosse leggero, si sentiva soffocare dal peso di quelle aspettative, del denaro, della formalità.

Mark, ogni tanto, si rivolgeva a lei con una cortesia esagerata, quasi per ribadire la sua presenza e il suo ruolo. «Beatrice, assaggia questo vino, è un Barolo del '98, annata eccezionale. Lo hai scelto tu, vero?» Oppure: «Tesoro, il discorso di tua madre è stato toccante, non trovi?»

Non era vero. Non aveva scelto il vino. Il discorso di sua madre era stato un elenco di quanto Bea fosse fortunata. La sua estrema, studiata cortesia era peggio dell'indifferenza: era un richiamo pubblico al fatto che stavano recitando la parte di marito e moglie felici.

Mentre gli antipasti venivano serviti su piatti di fattura veneziana, Bea tentò di isolarsi. Purtroppo, essendo al centro dell'attenzione, non poteva evitare di cogliere frammenti di conversazione cruciali.

Due uomini, seduti di fronte, parlavano fitto, abbassando la voce solo per finire con un'occhiata furtiva a Bea e Mark. «...quello che mi preoccupa è la clausola di liquidazione. Se l'accordo salta, i Rossi finiscono sul lastrico. Markwell ha protetto i suoi beni con una maestria incredibile.» «È il genio. Il matrimonio è solo l'ultimo lucchetto. Con la ragazza Rossi dentro, il padre non può ritirarsi.» «Quindi lei è la garanzia?» «Esattamente. Una garanzia con le gambe lunghe e un bel sorriso. Non c'è niente di più vincolante di un matrimonio formale, specialmente quando è così visibile e sponsorizzato.»

Quelle parole le fecero male più di uno schiaffo. Capì chiaramente il meccanismo: lei era un'assicurazione contro il fallimento del padre. Se la fusione andava a monte o se suo padre avesse tentato di tirarsi indietro, Bea sarebbe stata la leva di Markwell per distruggere i Rossi. Il padre le aveva promesso che non sarebbe stata una prigioniera, ma le aveva dato un ruolo di scudo umano.

Il pranzo era a metà quando l'ambiente si fece più teso. Mark, che era stato impeccabile, ricevette una notifica sul suo telefono che sembrava farlo irrigidire. Si scusò con gli ospiti con un sorriso che non raggiungeva gli occhi.

«Una chiamata inattesa, scusatemi. Affari urgenti a Tokyo. Cinque minuti, per favore.»

Si alzò, lasciando Bea sola al tavolo d'onore con la madre di Mark, una donna anziana ed elegantissima, fredda come una lastra di marmo.

«Mio figlio è un uomo che non dorme, cara,» commentò la Signora Markwell con un sorriso asciutto. «Ricorda, Markwell viene sempre prima del Mark.»

Bea si sentì persa. Mark era scomparso in una stanza privata per la sua telefonata "urgente", una priorità che superava il suo stesso matrimonio. Questo contrasto tra l'estrema cortesia superficiale e la totale assenza quando si trattava di affari le alimentava un sospetto crescente: Mark era un robot che aveva bisogno di ricaricare le batterie lavorando.

Trovarsi sola in quel palcoscenico era umiliante. Tutti gli occhi, prima pieni di curiosità per la sposa, ora la valutavano con una velata pietà. Non era la donna che aveva sposato Markwell; era la ragazza che Markwell aveva acquistato per la fusione. Bea sentiva il bisogno disperato di un volto amico, di una distrazione, di qualcosa che le ricordasse i suoi veri diciotto anni.

Il suo sguardo vagò per la sala, incrociando per un attimo quello di Elisa, la sua migliore amica, seduta in un tavolo periferico. Elisa le fece un sorriso incoraggiante, ma Bea non riuscì a ricambiare con sincerità. Paul non era lì, ovviamente. Il padre aveva assicurato che il suo invito era andato "perso".

Dopo un quarto d'ora, Mark tornò. Sembrava ancora più teso, ma il suo volto era tornato alla maschera di controllo totale. Si sedette accanto a Bea senza scusarsi ulteriormente, riprendendo il filo della conversazione con una rapidità disarmante.

«Dov'eri, Mark?» chiese Bea, usando il tono zuccherato che si aspettava da una sposa innamorata. Voleva vedere una crepa.

Mark si girò, il suo volto molto vicino al suo, e per la prima volta Bea percepì un lampo di qualcosa negli occhi grigi, forse rabbia, forse frustrazione. «Affari, Beatrice,» rispose, la voce a malapena un sussurro, ma con una nota affilata. «Gli affari che ci hanno permesso di essere qui. Ricorda, tu sei parte integrante di questo, ora. Non distrarmi.»

La sua risposta, seppur cortese in apparenza, era un monito chiaro: stai al tuo posto.

Bea si ritrasse, la sensazione di essere un oggetto muto e costoso, più forte che mai. In quel momento, capì che la sua battaglia non era solo contro un matrimonio combinato, ma contro l'intero, freddo, spietato mondo di Markwell. E per quanto fosse innamorata di Paul, quel mondo, ora, era il suo.

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